Tristano muore

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erikaluna
00mercoledì 7 luglio 2004 16:55
Tristano muore. Una vita ( Tabucchi, Feltrinelli 2004 )

Chi è Tristano? Tristano è colui che racconta, ma non colui che scrive. E’ colui che, giunto al termine della sua vita nell’agosto del 1999, decide di affidare le sue parole, prima ancora della sua memoria o di quel che resta di essa, a uno scrittore, al quale spesso si indirizza direttamente, con mordaci commenti, conditi sempre da quell’ironia pungente e saggia propria di chi ha sulla pelle gli anni e la Storia scritte fra le rughe.
Chi è Tristano? Tristano è stato, è anche stato. E’ stato un personaggio forte, che ha combattuto per la libertà del proprio paese come partigiano, e ha combattuto anche in Grecia, che non a caso resta per lui il luogo del mito, dove l’innamoramento della vita stessa sembrava possibile.
Chi è Tristano, ora? Ora è un vecchio che sta morendo, accompagnato nell’ultimo viaggio da questo scrittore che raccoglie i suoi discorsi. E’ una persona che nel morire, lo fa con dolore, perché la sua malattia non concede tregua. Ma il dolore di cui soffre Tristano non è solo fisico, bensì interiore. Perché da questa malattia, combattuta a colpi di morfina, la memoria diventa labile, diventa bersaglio dell’oblio, e si confondono immagini vissute con ciò che si sé solo desiderato o temuto. Il confine tra reale vissuto, allucinazione, e sogno si sfuma, resta appeso nelle parole, ma soprattutto nella sua punteggiatura narrativa, notevolmente intercalata da sospensioni che danno il ritmo e il senso di questo spazio di nessuno in cui l’identità, nel raccontarsi a brandelli, conferma il suo esistere contro l’oblio, che, non è solo oblio personale ma oblio Storico, di quanto si voglia dimenticare o ancora peggio riscrivere e revisionare certi momenti di questa democrazia.
E Tristano muore, consegnandoci una fotografia in bianco e nero, di una spiaggia malinconica dove suo padre cammina poco prima di sposarsi.
Tabucchi disegna così un personaggio-persona che a tratti ha i contorni generazionali e personali ben definiti, tanto da vederci addosso i racconti dei nonni, che con l’epoca di Tristano hanno combattuto, altre volte ha i tratti del mito, dell’eroe, proprio quando il protagonista stesso si interroga su cosa significa essere degli eroi. Per Tristano, al termine della sua vita, significa difendere la libertà, e per lui, inchiodato su un letto, la libertà coincide con la parola, come espressione di sentimenti e fissativo della memoria.
Vengono alla mente tanti altri personaggi grandiosi che si incontrano leggendo il Calvino del “sentiero dei nidi di ragno”, “ Gli uomini e no” di Vittorini, “ Il partigiano Johnny” di Fenoglio. Ma con delle differenze: quei personaggi erano raffigurati quasi in presa diretta, Tristano racconta di sé con il dolore aggiunto del tempo e delle altre cose che i suoi occhi hanno visto e vissuto, come piazza Fontana.
Tabucchi ha saputo trasmettere benissimo anche la problematicità degli anziani, in quel momento particolare in cui molti incorrono dove la vita vissuta torna come macabra allucinazione confondendosi con quella presente, e, con toni rispettosi ma incisivi, ha saputo rendere lo stato d’animo di chi, farneticando per le condizioni fisiche, nel raccontare vuole afferrare ancora, ancora e ancora l’esistenza.
E in questo girotondo di parole, di situazioni che ritornano, si innestano le parole di un’epoca nelle canzoni popolari, nelle scene dei film che tornano alla mente, nelle poesie che la governante di Tristano puntualmente recitava come un rito ogni domenica, un rito per rendere migliore nella sospensione poetica la vita e trovarvi nuove forze e energie per cambiarla. Per questo le parole di Leopardi, Kafavis, e altri non sono messi come incisivi staccati dal discorso o citati con le virgolette, ma fanno parte integrante del racconto di Tristano: un lungo fluire di immagini e parole, perché poi è così che si disegna la vita quando le parole si sono vissute.
Una storia Europea quella di Tristano, ma anche una storia Italiana, dove il comune nemico è la mostruosità.
Come ho sottolineato in alcuni passaggi, ritengo funzionale l’utilizzo della punteggiatura come segno proprio del racconto e dell’atto di ricordare.
In questo monologo di Tristano che Tabucchi raccoglie si profila in maniera sottile e inquieta una stimolante riflessione sul ruolo dello scrittore, e in particolare sull’atto di raccontare e di scrivere, come distinti momenti del narrare.
Un piccolo grande libro che regala emozioni e pensieri intensi, ma anche riflessioni inquiete, scandite però dalla poetica di Tabucchi che sa arrivare dentro, per illuminare certi angoli bui senza graffiare.
" La vita non è in ordine alfabetico come credete voi. Appare...un po' qua e un po' là, come meglio crede, sono briciole, il problema è raccoglierle dopo, è un mucchietto di sabbia e quale è il granello che sostiene l'altro?...togli il granello che credevi non soreggesse niente e crolla tutto, la sabbia scivola, si appiattisce e non ti resta altro che farci dei ghirigori col dito, degli andirivieni, sentieri che non portano da nessuna parte, eda e dai stai lì a tracciare andirivieni, ma dove sarà quel benedetto granello che teneva tutto insieme ... e poi un giorno il dito si ferma da sè e non ce la fa più a fare ghirigori, sulla sabbia c'è un tracciato strano, un disegno senza logica e senza costrutto e ti viene il sospetto, che il senso di tutta quella roba lì erano i ghirigori"( Pg.107)
Erikal.

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