CASO IMAM RAPITO: INTERCETTAZIONI, AMMISSIONI, INTERROGATORI

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INES TABUSSO
00venerdì 7 luglio 2006 22:46


CORRIERE DELLA SERA
7 luglio 2006

Le intercettazioni
La telefonata tra i due dirigenti arrestati
«La Cia ci ha chiesto una cosa illegale»

Ecco una delle intercettazioni decisive che motivano l'ordinanza d'arresto dei due dirigenti del Sismi per il sequestro dell'imam Abu Omar. Per i pm è una specie di confessione.
Primo giugno 2006, ore 15.22. Il generale Pignero è appena stato interrogato dai pm milanesi: ha ammesso solo un controllo «lecito» dell'imam, negando però qualsiasi complicità nel successivo sequestro. Mancini invece risponde di aver detto ai suoi 007 che «era illegale», che serviva «per prenderlo». Mancini: «...Ti chiamo da una cabina». Pignero: «La sostanza del discorso è questa, è andata così come avevamo detto, programmato... Lui (il pm Spataro, ndr) sa che noi due non sappiamo niente l'uno dell'altro». Mancini: «Perfetto, esatto». Pignero: «E, seconda cosa, ti chiamerà sicuramente a questo punto, perché io naturalmente ho raccontato, così come abbiamo detto, no?». Mancini: «Si, certo». Pignero: «...C'era un progetto di carattere generale... Uno dei tanti... Era quello e io ti ho dato mandato di fare degli accertamenti... Però non si faceva più niente, nel senso che non passavamo più nessuna notizia perché noi mai nulla abbiamo saputo». Mancini: «No, certo... però della richiesta che ci avevano fatto gli yankees tu gliel'hai detto, sì?» Pignero: «La richiesta era quella di fare delle verifiche, capito?». Mancini: «E va be', io però ho detto ai miei una cosa un po' più precisa...». Pignero: «Cioè?». Mancini «Eh, gli avevo detto che gli yankees volevano appunto prendere questo qua... ». Pignero: «Sì. Va bene, ma volevano prenderlo nel senso di cattura... a livello operativo, io ho parlato di un'attività di ricerca, cattura, con un obiettivo di carattere operativo... Non, non di un'attività diciamo... illecita chiaro?».
Mancini: «Eh però, io a miei gli ho detto esattamente quello che tu mi avevi detto, cioè che era un'attività illegale... »: Pignero: «Eh, lo so, ma noi questo non lo possiamo dire». Mancini: «Eh va beh, però sai, se lo dicono quelli con i quali io ho parlato è un casino». Mancini: «Sì, però Gustavo... I miei diranno esattamente le cose che io gli ho detto, però, è questo il problema eh, che non riesco io a convincere tutti quanti a dire.... perché la richiesta era... io cioè lo dissi che era una cosa illegale, difatti, ci siamo rifiutati, cioè questo è il concetto basilare...». Pignero: «Guarda che non devono dire chissà che cosa, devono dire soltanto che hanno fatto degli accertamenti sull'effettiva esistenza e pericolosità di questo soggetto, punto, avendo visto che era di interesse della Pg abbiamo deciso di sospendere, di non fare più niente, questo è nella sostanza...». Mancini: «Eh questo... io non posso, io non ne vengo fuori dicendo solo il fatto degli accertamenti, perché se poi uno dei miei con il quale ho parlato dice sì, no, lui ci ha chiesto esattamente di portarlo via, dopo io passo per false dichiarazioni». Pignero: «Scusami, ma abbi pazienza, nessuno ha detto di portarlo via però». Mancini: «No come... Ricordi, tu mi avevi detto di prenderlo... » Pignero: «... di fare degli accertamenti sulla presenza di questo soggetto...». Mancini: « Sì, ma per prenderlo... io ho detto: per prenderlo, come tu mi avevi detto, scusa...» .
Paolo Biondani





L'inchiesta
Abu Omar, prime confessioni nel Sismi
Tre funzionari indagati ammettono le complicità italiane. Mancini: non ho mai rapito nessuno

ROMA - Prime confessioni tra i dirigenti del Sismi accusati del sequestro di Abu Omar. A fornire ai magistrati milanesi nuove cruciali ammissioni sulle complicità italiane nell'azione illegale della Cia sono almeno tre alti funzionari del servizio segreto militare. Tutti accusano Marco Mancini e il generale Gustavo Pignero, i due capidivisione arrestati l'altro ieri, di aver partecipato all'organizzazione del rapimento, per compiacere l'allora capo della Cia in Italia, Jeff Castelli, che ora è il primo dei 26 agenti americani ricercati. Non solo. Almeno due 007 italiani confessano di essere stati presenti a diverse riunioni preparatorie del sequestro. E precisano che in quegli incontri, ovviamente segreti, Mancini e Pignero istruivano i sottoposti spiegando che «la Cia vuole sequestrare l'imam di Milano e noi dobbiamo aiutarli. Bisogna mandare i nostri uomini a Milano a fare i sopralluoghi e i pedinamenti».
La stessa accusa è confermata da almeno un altro testimone interno al Sismi, che giura di aver ricevuto, dopo il sequestro, la rivelazione di Mancini che «è stata un'operazione congiunta Cia-Sismi». È in questa situazione sempre più drammatica che Mancini attende il primo interrogatorio fissato per oggi pomeriggio a San Vittore. Dal carcere di Milano, ieri, il capodivisione ha affidato a uno dei suoi legali, Luigi Panella, una rivendicazione di innocenza: «Non ho mai rapito nessuno e non ho mai partecipato al sequestro di qualcuno. Sono tranquillo, ho fiducia nella giustizia». Secondo i primi «pentiti» del Sismi Mancini dipendeva gerarchicamente da Pignero anche per il sequestro: è il generale, nei quattro mesi che precedono l'azione di forza della Cia (17 febbraio 2003), a dare gli ordini ai dirigenti riuniti nella sede del Sismi. Indicazioni operative che poi discendono a tutta la catena gerarchica fino ai marescialli. Con una vistosa anomalia: tutti i dirigenti contrari al sequestro vengono scavalcati o rimossi. I capi dei tre centri Sismi strategici — Milano, luogo del sequestro; Padova, base di due agenti Cia; e Trieste, che ha competenza sulla base Usa di Aviano, da dove partì l'aereo con l'ostaggio — sono stati tutti sostituiti da Pignero, alla vigilia del rapimento, con funzionari fedelissimi a Mancini, che ora sono tra gli indagati. Tra i dirigenti rimossi, almeno un testimone ha detto ai pm milanesi di aver perso l'incarico e subito vessazioni perché aveva tentato di opporsi all'operazione congiunta Cia-Sismi, protestando inutilmente con i superiori che quel raid era «illegale» e «contrario ai principi della nostra democrazia». All'interno dei servizi, solo i vertici hanno l'obbligo di denunciare i reati alla magistratura: per i capi, quindi, basta sapere per diventare complici.
Le confessioni del carabiniere Luciano Pironi, che per primo ha ammesso di aver partecipato al sequestro bloccando per strada Abu Omar, fanno pensare che il Sismi possa aver aiutato la Cia anche nella fase finale. Almeno due sequestratori, sostiene infatti il maresciallo, parlavano in un italiano tanto gergale («ma che c... fai?») da fargli pensare che fossero agenti del Sismi. Oppure «contractors» esterni, ma reclutati in Italia. Nel frattempo Abu Omar continua a restare prigioniero di quei servizi segreti egiziani che, secondo le indagini milanesi, lo hanno torturato atrocemente. Ogni articolo sul suo caso serve solo a spingere i carcerieri a massacrarlo di nuovo di botte. La moglie (e madre dei suoi bambini) è stata convinta a fatica dalla comunità islamica a incaricare l'avvocato Antonio Nebuloni di costituirsi parte civile contro Cia e Sismi «non per soldi, ma per chiedere giustizia all'Italia e libertà per Abu Omar».
Paolo Biondani





Interrogatorio fiume per il vicedirettore di Libero, Renato Farina
Caso Abu Omar, «Mancini si offrì alla Cia»
Lo rivela ai magistrati milanesi il colonnello D'Ambrosio. L'alto funzionario del Sismi sentito nel carcere di San Vittore

MILANO - «Nell'autunno del 2002 Robert Lady mi disse che Mancini, più di una volta, si era offerto alla Cia come agente doppio». Questo ha dichiarato ai magistrati milanesi che indagano sul rapimento di Abu Omar il colonnello Stefano D'Ambrosio, che per un periodo fu capocentro del Sismi nel capoluogo lombardo per poi essere sostituito da Marco Mancini, ora agli arresti. Secondo D'Ambrosio, Mancini, stando a quando gli riferì Lady, lavorando anche alla Cia «poteva continuare ad operare nel Sismi, ma in realtà facendolo come agente doppio, nell'interesse della Cia... La Cia comunque aveva rifiutato questa offerta per un duplice motivo: da un lato temevano fosse una provocazione, dall'altro temevano che Mancini fosse un personaggio troppo venale». Le dichiarazioni di D'Ambrosio sono contenute nell'ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere Marco Mancini.
L'ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE - Ci furono tre tentativi di eseguire il sequestro di Abu Omar prima di quello avvenuto con successo il 17 febbraio 2003. Avvennero, secondo quanto ha ammesso il maresciallo dei CC Luciano Pironi confermando la sua partecipazione, nei venti giorni precedenti: il 27 gennaio, il 9 febbraio e il 16 febbraio. La circostanza è contenuta negli atti dell'ordinanza del gip Manzi che ha portato in carcere Marco Mancini e agli arresti domiciliari Gustavo Pignero. «Mancini - si legge nell'ordinanza - , con l'aiuto di Marco Iodice (funzionario del Sismi) ha sollecitato ed effettuato alcuni incontri con eminenti personalità politiche, tenute all'oscuro del reale svolgimento della vicenda, nella verosimile prospettiva di sollecitare possibili interventi a proprio favore presso il direttore del Sismi, gen. Pollari». Secondo il materiale d'indagine acquisito recentemente durante l'inchiesta, sempre contenuto nell'ordinanza di custodia, Marco Mancini e Gustavo Pignero, i due funzionari del Sismi arrestati per la vicenda Abu Omar, «potrebbero aver taciuto al direttore del Sismi quanto andavano tramando». Dunque «è possibile solo ipotizzare un concorso del generale Pollari, il direttore del Servizio, nei reati ascrivibili al Mancini e al Pignero» che sono dunque ritenuti «sicuramente responsabili di aver diretto la struttura del Sismi che ha partecipato alla preparazione ed esecuzione del sequestro di Anu Omar».
MARCO MANCINI SENTITO PER 6 ORE A SAN VITTORE - Si è concluso, dopo sei ore, l'interrogatorio del numero due del Sismi, Marco Mancini, nel carcere milanese di San Vittore. Oltre al gip Enrico Manzi erano presenti i pm titolari dell'inchiesta, i procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Pomarici.
INTERROGATORIO FIUME ANCHE PER RENATO FARINA - E' durato quasi cinque ore l'interrogatorio del giornalista Renato Farina, vicedirettore di «Libero», indagato per favoreggiamento nella vicenda del rapimento di Abu Omar. Farina è stato sentito nell'ufficio del pm Maurizio Romanelli, davanti anche al collega Stefano Civardi, il magistrato che si occupa delle indagini sulla corruzione nel mondo dei detective privati. Il verbale è stato secretato.



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