"IL RITRATTO" di Colette

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gasparastampami
00giovedì 15 settembre 2011 15:31
IL RITRATTO

Aprirono nello stesso istante le finestre delle loro camere comunicanti, fecero sbattere le persiane socchiuse sotto il sole, e affacciate al balcone di legno si sorrisero:
“Che tempo!”
“Il mare è una tavola!”
“Questa sì che è fortuna! Hai visto com’è cresciuto il glicine in un anno?”
“E il caprifoglio? Ora i ricacci s’infilano nelle persiane”
“Lily, che fai, ti riposi?”
“No, prendo uno scialle e vado giù! Non riesco a star ferma il primo giorno…e tu che fai, Alice?”
“Metto a posto la biancheria nell’armadio. Profuma ancora della lavanda dell’altr’anno. Vai pure, io mi diverto come una pazza. Fai le tue cose!”
I capelli corti, ossigenati , di Lily fecero un saluto da marionetta, e il momento dopo Alice la vide scendere, verde come una mela, nel giardino sabbioso, mal protetto dal vento di mare.
Alice rise senza cattiveria: “Com’è tonda!”
Gettò uno sguardo soddisfatto alle sue lunghe mani bianche e incrociò gli avambracci magri sulla balaustra di legno, aspirando l’aria ricca di sale e di iodio. La brezza non scompigliava nemmeno un capello della sua pettinatura “alla spagnola”, lisciata all’indietro, con la fronte e le orecchie scoperte, indovinata col suo nasino perfetto, ma severa con quanto andava in lei declinando: rughe orizzontali sopra il sopracciglio, guancia rilasciata, orbite illividite dall’insonnia.
La sua amica Lily biasimava quella pettinatura spietata:
“Sai che penso? Secondo me un frutto un po’ secco ha bisogno di foglie!”
Allora Alice rispondeva:
“A quarant’anni, mica tutti si possono pettinare come una ragazzina delle Folies Bergère!”
Andavano perfettamente d’accordo, e qualche dispettuccio attizzava un po’, ogni giorno, il fuoco della loro amicizia.
Elegante, ossuta, Alice constatava volentieri:
“Dall’anno della morte di mio marito non sono aumentata di peso quasi per niente. D’altronde ho conservato una delle mie bluse da ragazza, come una curiosità: sembra fatta ieri, su misura!”
Lily non ricordava, e a ragione, alcun matrimonio. Dopo una giovinezza dissennata, la quarantina l’aveva dotata di un’irriducibile pinguedine.
“E’ vero che sono grassotta, diceva. Ma guardate la faccia: non una ruga! E il resto idem! E’ già qualcosa, lo ammetterete!”
E faceva scivolare uno sguardo malizioso sulla guancia rugosa di Alice, sulla sciarpa o sulla volpe destinate a celare i tendini del collo, le clavicole come una barra di T…
Ma un amore, più che una rivalità, legava le due amiche l’una all’altra: lo stesso uomo, bello, celebre molto prima d’invecchiare, le disdegnava. Per Alice, alcune lettere del grand’uomo testimoniavano che per qualche settimana aveva preso gusto ai suoi occhi gelosi e alla sua eleganza fatale di bruna magra, abilmente velata. Lily non serbava nulla di lui se non un espresso, ma stranamente laconico e frettoloso. Poco dopo egli le dimenticava entrambe, e il: “Come l’hai conosciuto?” delle due amiche precedeva delle confidenze pressocchè sincere che riprendevano senza stancarsi.
“Quel suo silenzio all’improvviso, non l’ho proprio capito” ammetteva Alice. “Però c’è stato un momento della nostra vita in cui son sicura che sarei potuta essere l’amica, la guida spirituale di quell’uomo sfuggente che nessuna ha saputo trattenere…”
“Be’, tesoro, non dico di no” replicava Lily. ”L’amica, la guida spirituale….questi paroloni non li capisco proprio. Quello che so è che fra lui e me….ah! caspita! Che fuoco! Non pensavamo mica al pathos, te l’assicuro! Ho sentito, ma sì, con la stessa lucidità con cui ti parlo, che quell’uomo avrei potuto dominarlo con i sensi. E poi è finita…..Finisce sempre…”
Insomma, contente di eguali insuccessi, arrivate all’età di far tappezzeria avevano appeso nel salotto della villa di Lily che abitavano dividendo per due mesi le spese comuni, un ritratto dell’ingrato, il ritratto più bello, quello che utilizzavano tutte le riviste illustrate e i quotidiani. Un ingrandimento fotografico ritoccato, contrastato con neri pastosi come una focosa acquaforte, schiarito di rosa sulla bocca e d’azzurro sulle pupille, come un acquerello…..
“Non è quel che si dice un’opera d’arte” faceva Alice “ma per chi, come me, come noi, Lily, l’ha conosciuto, è vivo!”
Da due anni, si rassegnavano allegramente a una specie di sommessa solitudine, ricevevano delle amiche inoffensive, e dei vecchi amici abituali.
Invecchiare? Ah! Dio mio, sì, occorre abituarcisi…Invecchiare, sotto gli occhi di quel ritratto giovanile, alla luce di un bel ricordo…Invecchiare in buona salute, facendo dei viaggetti riposanti, consumando pasti misurati…
“Non credi che sia molto meglio delle scorribande nei nights, delle massaggiatrici e delle sale da gioco?” diceva Lily.
Alice assentiva col capo e aggiungeva: “E’ tutto talmente squallido, dopo un ricordo simile…”

Messo in ordine l’armadio, Alice si cambiò d’abito, strinse la vita in una cintura di pelle bianca con un sorriso: “Stesso buco dell’altr’anno! E’ proprio divertente!”
Ma si rimproverò d’aver tardato a salutare il “loro” ritratto nel salone a pianterreno.
“Alice! Alice! Scendi?”
La voce di Lily la chiamava da giù: lei si affacciò , appoggiandosi alla balaustra di legno:
“Un minuto! Dai…..”
“Scendi…una cosa curiosa…..Vieni!”
Un po’ emozionata, sempre pronta all’incontro romanzesco, corse e trovò Lily davanti al loro ritratto, staccato, poggiato in piena luce su una poltrona.
Un’eccezionale umidità, una qualche combinazione del sale e del colore avevano elaborato in dieci mesi, nell’ombra della villa chiusa, un disastro intelligente, un’opera di distruzione in cui il caso era l’arma di una malevolenza quasi miracolosa. Sul mento romano del grand’uomo, la muffa disegnava una barba biancastra da vegliardo trasandato. Delle bolle gonfiavano la carta sulla sommità delle guance come due borse linfatiche. Un po’ di carboncino nero, scivolando dai capelli su tutto il ritratto, appesantiva d’anni e di rughe un viso da conquistatore……Alice si coprì gli occhi con le mani bianche:
“E’….è un vandalismo!”
Lily, prosaica, sospirò un “Be’!...”che era eloquente.
E aggiunse, eccitata: “Mica lo lasceremo qua?”
“Oddio no, mi farebbe star male!”
Si scambiarono uno sguardo. Lily trovò giovane Alice per la sua linea, e Alice non riuscì a nascondere un moto d’invidia : “Che colorito, Lily! Una pesca!”
Il loro pranzo risuonò di chiacchiere insolite, in cui si discusse di massaggi, di diete, di vestiti e del vicino casinò.
Quasi incidentalmente parlarono della gioventù prolungata di certi artisti, dei loro amori ostentati, e Alice pronunciò distrattamente quattro o cinque volte lo stesso nome di uomo, quello di un loro amico che doveva trascorrer l’estate nella regione.
Una febbre d’evasione, un calore da brutte intenzioni le rese golose, bevitrici, fumatrici e sboccate. Ma Alice, in salotto, voltò pietosamente la testa nel passare davanti al ritratto, e fu la triviale Lily, rubiconda, un po’ sbronza, che soffiò con disprezzo in faccia al grand’uomo una boccata di fumo: “Povero vecchio!..........”

Colette, Il ritratto, in Racconti d’Amore del Novecento, a cura di P.D. Lombardi, Mondadori, Milano, 1990

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